A proposito di Stefano Vaj…

«E fu proprio con Faye, Pierre Vial, Jason Hadjidinas e vari altri camerati europei di questo ambiente che ci ritrovammo qualche anno dopo in Grecia, al santuario di Apollo a Delfi, all’alba, a giurare in dieci lingue in una cerimonia privata la nostra fedeltà all’Europa, ai suoi dèi, ed al sole (ri-)nascente della sua cultura, oltre il solstizio d’inverno della nostra epoca.» (Stefano Vaj in Per l’autodifesa etnica totale, 2001).

 

Il presidente dell’Associazione Italiana Transumanisti, Riccardo Campa [ora presidente onorario], ha sostenuto, in passato, che la collaborazione con i “sovrumanisti”, e in particolare col loro leader Stefano Vaj (cooptato nel consiglio dell’associazione e nominato addirittura “segretario nazionale” nel 2007, carica che tuttora riveste), è possibile e opportuna, in quanto quest’ultimo sarebbe favorevole all’espansione delle “libertà civili”, un tema caro ai transumanisti.

Tuttavia noi Transumanisti Italiani ci chiediamo – e chiediamo ancora una volta al presidente Campa – quale credibilità possa avere, quale paladino delle “libertà civili”, chi – anche a prescindere dalle aspre critiche esplicitamente portate avanti nei confronti dei diritti umani, della democrazia e dell’eguaglianza – testualmente scrive:

 

«La vera questione in materia di aborto potrebbe essere considerata quella di se e quando l’aborto possa essere un dovere, mentre viceversa potrebbe parere irrilevante (o al limite da scoraggiare, sempre da un punto di vista di dinamica delle popolazioni) la sua rivendicazione come diritto, in relazione a scelte di tipo essenzialmente economico-edonistico, per di più unicamente della madre.»

«La biopolitica pone comunque la civilizzazione contemporanea in via di diventare globale di fronte a sfide “inumane”. Rifiutarsi di affrontarle delegando le relative responsabilità al meccanismo impersonale del mercato, o tentare di negarle attraverso tipici meccanismi di rimozione, proibizionismo e repressione, conduce come vedremo ad una prospettiva propriamente disumana. A tale prospettiva possono unicamente essere opposte scelte consapevolmente tragiche e sovrumaniste, il salto di qualità di un nuovo inizio tramite cui prendere in mano il proprio destino “per mille anni”, anzi, per intere ere.»

«La “frattura” della storia che stiamo vivendo, e le scelte di campo che questa impone all’uomo e alle società contemporanei, si manifesta prima come inquietudine, poi come possibile risposta con la nascita ed affermazione della tendenza storica sovrumanista, ma tende a diffondersi generalmente nella prima metà Novecento, ed in tale ambito è innegabile che essa si presenta variamente intrecciata con le espressioni direttamente politiche incarnate, in vari stadi, nelle rivoluzioni fasciste e nelle loro tendenziali aspirazioni a farsi carico dell’identità e dell’avvenire “millenario” delle comunità di riferimento (nazionale, culturale ed etnica).»

«In effetti, l’azione governativa nazionalsocialista si occupa già di tutti o quasi gli aspetti e strumenti di intervento noti all’epoca con riguardo al futuro della popolazione di riferimento, dall’anamnesi familiare, all’orientamento dei matrimoni, alla sterilizzazione ed aborto selettivi, all’assistenza alla maternità, alla politica demografica, alle politiche in materia di adozione, concessione della cittadinanza o immigrazione, all’eutanasia, a tutte le altre misure più in generale connesse alla autogestione da parte della comunità della propria dimensione anche “biologica”; ivi compreso quanto finalizzato a promuovere o rafforzare alcune caratteristiche, a rarefarne altre, a rimuovere o controbilanciare paventati effetti disgenici (ad esempio, la possibile selezione negativa di caratteristiche quali il coraggio o lo spirito di servizio), a proteggere ed enfatizzare la relativa identità collettiva nelle direzioni giudicate desiderabili.»

«Quello che è tra l’altro interessante dell’atteggiamento fascista in generale, e nazionalsocialista in particolare, su tali questioni, è l’antidogmatismo e l’empirismo dimostrato sulle questioni in oggetto, che vede dibattere, adottare, sospendere o ripristinare misure diverse; finanziare ambiziosi programmi di ricerca; e riprendere indifferentemente posizioni tradizionalmente considerate “di destra” (così come l’esclusione forzata delle devianze indesiderabili, o il rifiuto di mobilitare la manodopera femminile ancora in una fase molto avanzata della guerra, o la difesa della famiglia), o “di sinistra”, come quando Hitler nelle Conversazioni a tavola dichiara di essere a favore del “libero amore”, quando qualche teorico ipotizza l’abolizione a fini demografici ed eugenetici della monogamia nel dopoguerra, o quando viene dal partito pubblicamente difeso il diritto, e il dovere, delle donne tedesche di procreare figli alla nuova Germania (il cosiddetto Führerdienst) anche fuori dal matrimonio.»

«Nell’ambito del programma descritto, il ripristino o la creazione di un “orgoglio di stirpe” e di una “coscienza razziale” nella comunità tedesco-germanica, o nelle altre comunità di riferimento dei diversi movimenti fascisti europei, rappresenta come è ovvio un tassello fondamentale, ed in effetti tutti i movimenti in questione – che pure si mostrano sovente nei propri esponenti molto meno provinciali della media dell’epoca, e profondamente interessati alle culture altrui – incoraggiano apertamente l’etnocentrismo. Da qui la propaganda sulla propria rispettiva “superiorità”, che in realtà in un contesto relativista ed antiuniversalista si risolve integralmente nella prospettiva della comunità di appartenenza.»

«Il tema della razza viene comunque declinato in modo diverso e variegato dai vari altri movimenti tedeschi, dai vari ambienti politici e scientifici del regime stesso, e dai vari movimenti e regimi fascisti degli altri paesi, così che le eccessive generalizzazioni e semplificazioni contemporanee appaiono sovente del tutto arbitrarie.»

«Ciò che giova però sottolineare ancora una volta è come la determinante influenza sovrumanista che a seconda dei casi è più o meno consciamente presente in tali ambito fa sì che le preoccupazioni di tipo etno-razziale ed eugenetico vi vengano regolarmente declinate – a differenza di quanto accadeva ed accade tuttora nella sfera culturale americana ed in generale “democratica” – secondo la prospettiva, intrinsecamente relativista, di una soggettività popolare e di un progetto storico collettivo miranti a competere e ad affermarsi rispetto ad altre prospettive ed identità omologhe, piuttosto che a negarle.»

«Se questo schizzo tiene certo poco conto di contraddizioni, equivoci e deviazionismi che è storicamente facile documentare, la campagna propagandistica di parte antifascista relativamente all’eugenetica e alla biopolitica nazionalsocialista resta d’altronde molto dubbia sotto vari profili.»

«Fatti salvi ulteriori possibili approfondimenti storiografici che esulano dallo scopo di questo saggio, a tale operazione possono essere opposte, con riguardo alle prese di posizione nazionalsocialiste (e latu senso fasciste), alcune ipotesi di lavoro che meriterebbero maggiore attenzione, e che vanno nel senso di una “storicizzazione” delle posizioni stesse, non per invocare dal punto di vista umanista improbabili giustificazioni o attenuanti delle stesse, la cui condanna in tale prospettiva è del tutto giustificata, ma semplicemente per comprenderne meglio la natura e la portata.»

«D’altronde, in campo biopolitico vari temi sono suscettibili di letture diverse, che i regimi fascisti non hanno mancato di sfruttare propagandisticamente e tatticamente, magari facendo leva sulle contraddizioni interne della tendenza umanista comunque culturalmente dominante. La previsione di reati connessi all’aborto e alla propaganda della contraccezione nel Codice Rocco (espressivamente ricompresi sotto un titolo che fa espresso riferimento alla “sanità della stirpe”), sono ovviamente coerenti con una politica volta al mantenimento ed allo sviluppo della demografia della comunità di riferimento, ma si trovano anche a soddisfare tradizionali posizioni cattoliche, in cui tali pratiche sono condannate proprio in quanto espressione… di un “blasfemo” controllo da parte dell’uomo sulla sua propria biologia.»

«Similmente, l’uso della sterilizzazione o dell’eutanasia per limitare il perpetuarsi e la propagazione di caratteristiche suppostamente disgeniche ben può essere difeso e promosso anche in rapporto a considerazioni di tipo “umanitario”, edonista e fondamentalmente individualista (quali quelle oggi avanzate dal Partito Radicale), che rappresentano il contrario esatto dei nuovi valori anche su tale piano affermati.»

«La percezione stessa delle questioni sopra discusse è oggi del tutto oscurata da una rimozione, falsificazione e demonizzazione che rende difficoltoso ripercorrere la storia delle idee sotto tale profilo, che pure riserva a chi sia interessato a percorrerla qualche sorpresa.»

 

«Naturalmente, l’unica cosa che sappiamo con certezza del futuro della nostra specie e della nostra razza è che esso si trova di fronte a noi. Sappiamo anche che non esiste possibile “ritorno al passato”. Può esserci solo un ritorno (propriamente: l’Eterno Ritorno) di ciò che in passato ci ha consentito di affrontare sfide nuove ed affermare noi stessi. La nostra inquieta esplorazione del mondo, le tecniche che ne discendono, ci condannano a delle scelte, ci offrono dei poteri, ma non possono dirci cosa farne. Questo non appartiene agli ingegneri o agli scienziati o ai giuristi, ma agli “eroi fondatori”, ai poeti, ed alle aristocrazie che sanno tradurre in atto l’oscura volontà collettiva della comunità popolare da cui emanano, costruendole monumenti destinati a sfidare l’eternità, lasciando dietro di sé una “gloria che non muore”.»

«L’era del passaggio al “terzo uomo” e della inevitabile alterazione dei fondamenti biologici stessi della vita sul pianeta, età in cui siamo destinati a vivere storicamente la nostra esistenza, è perciò un’era primordiale in cui si affronteranno, ancora una volta, da un lato, l’aspirazione paradisiaca alla fine della storia, delle differenze, dei conflitti, della “presunzione umana”; dall’altro, un nuovo, possibile sogno di grandezza su scala mai prima immaginata, capace di proiettare la libertà e la volontà di potenza della propria comunità di riferimento “sino là dove nessun uomo è mai giunto prima”.»

«L’avvenire apparterrà a chi saprà esprimere la volontà più forte, la consapevolezza più profonda.»

(Brani tratti da Stefano Vaj, Biopolitica, 2004)

 

«il problema storico qui affrontato è destinato a diventare problema politico anche all’interno delle singole società. Un maggior potere dell’uomo su se stesso, gestito ed esercitato consapevolmente da una volontà precisa, diventa, ed e inutile nasconderselo, un maggior potere di alcuni uomini (forse meglio si direbbe: di un certo tipo di uomo) sugli altri. Anche qui, ciò che era bastato all’epoca della rivoluzione neolitica ed e bastato fino ad oggi in termini di autodomesticazione e di costruzione della società, non può più bastare. Al salto di qualità compiuto attraverso la libertà concessa all’uorno di fare ciò che crede del suo ambiente e di se stesso, deve corrispondere un potere di scelta proporzionalmente globale. A meno che non si preferisca «lasciarsi vivere», credere di delegare le proprie scelte ad istanze «obbiettive e razionali», e diventare cosi una specie dalla programmazione rigida, infinitamente fragile di fronte alle stesse conseguenze della sua presenza al mondo.

Siamo entrati nell’epoca della mobilitazione totale di cui parlava Ernst Jünger. E’ facilmente immaginabile che il «terzo uomo» si debba incarnare in un tipo sociale preciso, con ruoli e funzioni analoghi a quelli assunti dalle aristocrazie dopo il neolitico.» (Stefano Vaj, La tecnica, l’uomo, il futuro).

il problema storico qui affrontato è destinato a diventare problema politico anche all’interno delle singole società. Un maggior potere dell’uomo su se stesso, gestito ed esercitato consapevolmente da una volontà precisa, diventa, ed e inutile nasconderselo, un maggior potere di alcuni uomini (forse meglio si direbbe: di un certo tipo di uomo) sugli altri. Anche qui, ciò che era bastato all’epoca della rivoluzione neolitica ed e bastato fino ad oggi in termini di autodomesticazione e di costruzione della società, non può più bastare. Al salto di qualità compiuto attraverso la libertà concessa all’uorno di fare ciò che crede del suo ambiente e di se stesso, deve corrispondere un potere di scelta proporzionalmente globale. A meno che non si preferisca «lasciarsi vivere», credere di delegare le proprie scelte ad istanze «obbiettive e razionali», e diventare cosi una specie dalla programmazione rigida, infinitamente fragile di fronte alle stesse conseguenze della sua presenza al mondo.
 
Siamo entrati nell’epoca della mobilitazione totale di cui parlava Ernst Jünger. E’ facilmente immaginabile che il «terzo uomo» si debba incarnare in un tipo sociale preciso, con ruoli e funzioni analoghi a quelli assunti dalle aristocrazie dopo il neolitico.

 

«Prometeo per i greci è un simbolo negativo e non positivo, perché per i greci rappresentava la religiosità tellurica pre-indoeuropea delle popolazione dominate, perché esisteva sempre la possibilità o che si ribellassero politicamente o che soprattutto andassero ad inquinare in qualche modo quello che invece era la cultura, lo spirito, o il tentativo degli indouropei di tutelare la propria identità. Tentativo che ha avuto episodi veramente epici e anche tragici al contempo: pensate all’India, in cui una manciata di migliaia di indoeuropei hanno conquistato un continente che già all’epoca aveva centinaia di milioni di abitanti e hanno cercato, con una grandissima produzione culturale e organizzazione sociale, di resistere ad un assorbimento che poi inevitabilmente nella storia si è anche verificato. (…) Gli indoeuropei hanno tentato di fare questo, e di mantenere questo tipo di identità, e questo è un messaggio e un esempio che noi possiamo in qualche modo prendere, come per esempio il tentativo di organizzare la struttura sociale con la sola tripartizione funzionale, cioè i sacerdoti, i governanti, i guerrieri e la classe produttiva: questo è un modo di interpretare il mondo e di dare un significato e una struttura alla società.» (Stefano Vaj, 2008, in occasione di un convegno dell’Associazione Edera)

 

«Le Tischgespracheerano già uscite per Longanesi, in una versione molto ridotta, frammentaria ed infedele, negli anni sessanta, se non sbaglio nel 1952, tradotta dal… francese. Questa versione, che era l’unica accessibile, ha costituito la base anche per l’edizione, molto più curata e completa, pubblicata da Ar con il titolo Idee sul destino del mondo. Non ho ancora visto la versione della Goriziana e non posso pronunciarmi. Certo che avendo letto le prime due posso testimoniare che si tratta comunque di un must, smisuratamente più importante e interessante di Mein Kampf.» (Stefano Vaj, 2010 sul forum Vivamafarka)

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